Come reagisci alle situazioni sfavorevoli? Scopri la resilienza che in te.
Per “situazioni sfavorevoli” si intende una vastissima gamma di esperienze: un trasferimento improvviso e/o non programmato, un lutto, un insuccesso scolastico o lavorativo, la separazione o il divorzio. Insomma, possono essere sfavorevoli tutte quelle esperienze che promuovono un cambiamento non desiderato dall’individuo. Ma cos’è che, a questo punto, fa la differenza? Cosa spinge una persona a cedere allo stato d’animo negativo oppure a reagire? La risposta è contenuta nelle strategie di comportamento messe in atto nelle varie situazioni.
Un proverbio cinese recita “quando soffia il vento del cambiamento, alcuni costruiscono dei ripari ed altri dei mulini a vento”.
La resilienza si può costruire?
La resilienza in Psicologia è definita come un processo di sviluppo dinamico che si traduce nella capacità di far fronte a situazioni sfavorevoli sviluppando un adattamento positivo. Consiste, quindi, nel saper adattare in modo flessibile il proprio comportamento e la gestione delle proprie emozioni al contesto.
Questa definizione nasconde una buona notizia: la resilienza si può costruire.
Analizzando meglio la frase, infatti, si può cogliere il grande potere d’azione attribuito al soggetto e non alla situazione:
- è un processo, cioè un qualcosa che può essere costruito e non di innato in ciascuno di noi. Si può acquisire, partendo dall’analisi dei propri punti di forza e di debolezza;
- in quanto processo, la resilienza è in continua evoluzione, che si sviluppa e cambia con il cambiare dell’individuo o del gruppo; cresce con la sua evoluzione;
- è dinamica perché non è mai uguale a se stessa, né per tipologia né per intensità.
La resilienza può appartenere sia al singolo che ai sistemi di persone, come le organizzazioni, i gruppi, la scuola e, soprattutto, la famiglia.
Resilienza individuale
La maggior parte della ricerca scientifica si è concentrata sullo studio della resilienza nei bambini. In particolare, le ricerche sui bambini ad alto rischio hanno ispirato l’approfondimento delle dinamiche comuni a quei bambini che stavano bene nonostante le condizioni di avversità.
Agli esempi di situazioni sfavorevoli su menzionati, va aggiunta necessariamente anche la violenza domestica: maltrattamento, violenza ed eventi traumatici della vita durante l’infanzia sono risultati tratti comuni e coerentemente associati ad un alto rischio di psicopatologia.
Le persone con una storia di maltrattamento infantile possono essere considerate resilienti in un’area di funzionamento, ma non in altre. Questa è un’efficace descrizione della natura dinamica della resilienza. Le persone resilienti sanno fronteggiare gli eventi traumatici, ripristinando l’equilibrio psico-fisico precedente al trauma e, a volte, migliorandolo.
Decisivo può essere anche il ruolo protettivo svolto da un adulto di riferimento, che non necessariamente è un genitore o un parente. Per un bambino con una storia di violenza domestica, avere un adulto di riferimento positivo può essere un vero e proprio fattore di protezione nei confronti di problemi comportamentali con esordio in adolescenza (es. abuso di sostanze e condotte devianti).
Pur esistendo dimensioni di personalità associate alla resilienza (come la coscienziosità), la dimensione evolutiva e in continuo cambiamento della resilienza emerge è dalla stretta correlazione tra personalità ed esperienze: le esperienze possono modellare i tratti della personalità ed i tratti di personalità possono influenzare l’esposizione alle avversità.
Come si traduce questo comportamento in famiglia?
La resilienza è un costrutto che non riguarda solo i singoli individui. Anzi, essa si può costruire anche nei gruppi, come le organizzazioni, la scuola, le equipe di lavoro, la famiglia.
Anche i sistemi familiari possono attraversare periodi di stress e difficoltà e, esattamente come le persone, possono uscirne rafforzati o destabilizzati.
Esistono alcune caratteristiche che permettono di denotare una famiglia come resiliente o non resiliente. Una famiglia resiliente è, anzitutto, dotata di flessibilità nei confronti delle percezioni e dei punti di vista di ogni membro. Gli scambi comunicativi sono supportivi e positivi, mentre le interazioni tendono a promuovere comportamenti empatici e non giudicanti.
Nelle famiglie resilienti, inoltre, il sistema dei valori è condiviso da tutti i membri e corrisponde al modo in cui la famiglia è riuscita a elaborare le avversità incontrate.
Infine, le famiglie resilienti non temono il confronto con la comunità: anzi, hanno la forza di ammettere di avere bisogno di aiuto e utilizzano in pieno le risorse dell’ambiente sociale di riferimento.
La scuola può aiutare a costruire la resilienza?
Le relazioni efficaci si possono sviluppare in tantissimi ambiti, da quello scolastico, sportivo, lavorativo, a quello del vicinato o della parrocchia.
Gli ambienti scolastici positivi e supportivi possono essere di grandissimo aiuto nella costruzione della resilienza. Bambini e ragazzi, soprattutto se identificati “ad alto rischio”, possono così acquisire importanti strumenti di crescita e consapevolezza personale circa i propri punti di forza e di debolezza. I ragazzi che vivono una scuola positiva fanno esperienza di adulti positivi, cioè capaci di incoraggiarli e riconoscerne le competenze.
Non è da sottovalutare il contributo che la scuola (o la comunità in generale) può offrire ai giovani resilienti: partecipando ad attività di aiuto e sostegno per gli altri, possono al tempo stesso rinforzare le proprie competenze, l’immagine che hanno di sé e, dunque, la propria resilienza.
Interessanti sono i diversi progetti messi a punto in alcuni contesti scolastici che hanno l’obiettivo di favorire la resilienza degli adolescenti. Un utile esempio è il progetto “Invece di Giudicare”, grazie al quale è stato possibile divulgare la cultura della mediazione nelle scuole secondarie di secondo grado. In particolare, è stata introdotta all’interno degli Istituti scolastici la mediazione tra pari, quale modello positivo di gestione della conflittualità.
Il volontariato e le attività solidali, soprattutto se svolte a scuola e connesse ad esperienze di leadership positiva, possono migliorare la percezione di sé e della propria capacità di raggiungere gli obiettivi.