È fuor di dubbio: il genitore è il lavoro più difficile del mondo e le sfide sottoposte dalla genitorialità sono innumerevoli.
Nessun insegnamento sembra essere all’altezza delle situazioni che si vivono e, indubbiamente, non esistono “manuali di istruzioni” in gradi di allertare in caso di errore. Anzi, in alcune situazioni, procedere per “tentativi ed errori” sembra essere l’unica strada percorribile.
E se esistesse un modo per aiutarci a migliorare l’efficacia dei nostri ardui compiti da genitori?
Genitorialità e Rischio
Ancora oggi, sono numerosissime le famiglie identificate “a rischio”. Ma a rischio di cosa? Quale rischio si corre?
Sembra incredibile, ma frasi apparentemente banali e innocue dette ad un bambino, quali “smettila di piangere”, “sei grande, non fare i capricci”, “i bambini grandi non piangono” e simili, risuonano nella mente del bambino come delle sentenze. Sentenze che tempreranno e forgeranno la sua personalità, il suo modo di vivere le relazioni, di tollerare le frustrazioni e, anzitutto, di amare se stesso.
Dunque, è proprio questo il maggior rischio che si corre: influenzare negativamente il modo in cui il bambino impara ad approcciarsi al mondo.
Ma quando inizia il rischio? E come si identifica?
Sono definite “fattori di rischio” quelle variabili che aumentano la probabilità che un fenomeno abbia conseguenze negative. Le dinamiche che espongono la famiglia al rischio sono tantissime, a partire dall’ambiente di riferimento, dalla storia delle famiglie di origine, dalla presenza di conflitto e/o violenza di coppia, eccetera. Indubbiamente, tra le variabili di rischio appena citate, quella più consistente, e a cui tutte le restanti si collegano, è proprio la presenza di atteggiamenti violenti tra i due partner che, molto spesso, esordisce anche prima dell’arrivo dei figli.
Intimate Partner Violence (IPV)
La violenza tra partner -ovvero la violenza domestica– viene definita Intimate Partner Violence (IPV).
Molti contributi di ricerca hanno indagato e approfondito i più frequenti fattori di rischio del fenomeno della violenza domestica, raggiungendo un certo grado di accordo nei risultati relativi alle caratteristiche socio-demografiche delle vittime di violenza prenatale. Sembra trattarsi prevalentemente di donne con un basso livello socio-culturale, appartenenti a etnie minoritarie, di età inferiore ai 30 anni e in una relazione di coppia instabile (Bailey, 2010; Bailey & Daugherty, 2007; Chambliss, 2008; Martin, Harris-Britt, Li, Moracco, Kupper & Campbell 2004).
Altri fattori di rischio riguardano la presenza di maltrattamenti precedenti alla gravidanza, la giovane età di entrambi i partner (il rischio è maggiore per gli individui sotto i 20 anni), la gravidanza indesiderata, partner con problemi di dipendenza da alcol o sostanze, isolamento sociale o stress cronico (Amann Gainotti & Schiavulli, 2008; Bacchus, Mezey, & Bewley, 2006; Charles & Perreira, 2007).
Dati provenienti da alcune ricerche dimostrano che la prevalenza della violenza domestica subita dalle donne nel corso della loro vita è pari al 54% circa (Davis, 2008). Quasi il 4% delle donne nella popolazione generale dichiara di essere stata minacciata dal partner con l’intento di ferirla o ucciderla. Il 18.9% riferisce di avere subito aggressioni fisiche da parte del compagno e, infine, il 31% afferma di aver subito almeno uno stupro da parte dell’attuale o ex partner (Dixon & Browne, 2003).
Una cospicua percentuale di contributi empirici ha dedicato la propria attenzione alle variabili ambientali coinvolte nel fenomeno dell’IPV. In particolare, alcuni autori hanno indagato il ruolo svolto dall’ambiente sociale e dalle risorse economiche, variabili che possono costituirsi come fattori di rischio.
Da uno studio condotto da Beyer e collaboratori (2013) è emerso che le caratteristiche ambientali, tra cui svantaggio economico del quartiere, alti tassi di criminalità, alta disoccupazione e disordini sociali, sono associate ad un maggior rischio di IPV.
Alcuni studi hanno dimostrato che livelli più alti di sostegno sociale possono essere dei fattori di protezione contro la violenza domestica non fisica, in quanto garantiscono assistenza strumentale, informativa, emotiva e persino finanziaria.
Fattore di protezione: il Family Home Visiting
L’Home Visiting è un programma di intervento tempestivo che si pone, sostanzialmente, tre obiettivi: permettere l’individuazione delle opportunità di sviluppo della famiglia; identificare la presenza di fattori di rischio e di protezione; sostenere la famiglia nell’identificare le proprie opportunità. Caratteristica peculiare di questo intervento è la conoscenza approfondita delle dinamiche della genitorialità, dei sistemi familiari e delle relazioni mamma-bambino, delle relazioni coniugali e dei meccanismi di transizione alla genitorialità (Tambelli & Volpi, 2015).
Il riconoscimento dell’importanza dell’Home Visiting e della sua validità di promuovere il benessere psicologico dei bambini e dei neogenitori è stata ampiamente riconosciuta dalla comunità scientifica nazionale e internazionale, sia in termini di cura che di prevenzione (OMS, 2013).
Uno dei più grandi vantaggi delll’Home Visiting è l’adattarsi ai tempi e alle caratteristiche comunicative delle famiglie che necessitano di supporto, senza attendere che queste ultime si rivolgano ai servizi di competenza per richiedere aiuto.
Proprio per questi motivi, in Europa l’UNICEF ha posto l’Home Visiting al centro della propria azione, sviluppando linee guida e fornendo supporto ai paesi per rivalutare e rilanciare programmi di prevenzione nella transizione alla genitorialità.
L’Home Visiting, però, non è da intendersi come visite o interventi domiciliari, bensì come un percorso preciso scandito dall’utilizzo di regole e strumenti particolari. La principale linea guida di questa tipologia di intervento è l’assunto secondo il quale la costruzione di una base sicura durante l’infanzia sia un importante fattore protettivo per i bambini esposti a stress.
L’intervento inizia accogliendo e sostenendo la futura madre per accompagnarla verso il riconoscimento del suo nuovo ruolo.
Nei casi di esposizione a violenza domestica, l’intervento domiciliare è focalizzato sulle madri vittime, anche se finora non vi sono revisioni sistematiche che dimostrino l’effettiva riduzione di IPV nelle famiglie ad alto rischio.
Le visite domiciliari supportano la genitorialità e una relazione genitoriale positiva aiuta i bambini a far fronte adeguatamente agli effetti negativi della testimonianza dell’IPV (Smith, 2005). Questo risultato è anche in linea con la raccomandazione dell’OMS di implementare visite a domicilio focalizzate sulle donne che hanno sofferto di IPV e di misurare l’IPV come risultato primario (OMS, 2013).
Federica Beglini
Dott.ssa in Psicologia Clinica