Parlare di attaccamento ci aiuta a capire come il nostro sistema biologico ci abbia previsti sin dalla nascita come esseri relazionali.
Non si tratta perciò di un apprendimento ma di una condizione necessaria e indispensabile allo sviluppo e alla crescita sana dell’individuo.
Di cosa si tratta?
L’attaccamento può essere definito come un sistema dinamico di atteggiamenti e comportamenti che contribuiscono alla formazione di un legame specifico tra due persone.
Ciò lascia intendere che l’attaccamento non è il risultato di un comportamento unidirezionale che va da un soggetto ad un oggetto ma, il risultato della relazione dinamica tra i due soggetti della relazione .
Si tratta di una tendenza innata che mira a stabilire un rapporto di prossimità e intimità con la figura di accudimento.
Il fatto che sia innata, ci permette di intuire che essa è intimamente connessa all’evoluzione della specie.
Non a caso forse, i primi studi che ci hanno permesso di comprendere più a fondo il comportamento di attaccamento, li dobbiamo all’etologia, la branca che si occupa dell’osservazione del comportamento animale.
E’ a John Bowlby che va il merito di aver individuato la presenza della stessa tendenza innata all’attaccamento sia nei cuccioli degli animali che nei piccoli d’uomo.
Egli notò che in entrambe le categorie, esiste una tendenza a ricercare sin dai primordi la prossimità della figura di accudimento non tanto allo scopo di ottenere un soddisfacimento del bisogno di nutrimento quanto piuttosto, quello di ottenerne protezione e sicurezza.
Questo lo portò a postulare la priorità della funzione d’attaccamento e a farne oggetto di studio.
Ma a chi ci si attacca e perchè?
Solitamente si è portati a pensare che la figura di attaccamento sia sempre e solo la madre.
In realtà, gli studi hanno dimostrato che questa figura può essere anche il padre o chiunque si prenda cura del bambino (caregiver) rispondendo al suo bisogno di cura e protezione.
La ragione dell’importanza attribuita a questo comportamento è legata al fatto che esso consente la sopravvivenza dei piccoli.
Infatti, è solo dopo aver instaurato una buona relazione con la figura di accudimento che il bambino potrà sentire quest’ultima come una base sicura e potrà sentirsi libero di poter iniziare ad operare piccole separazioni finalizzate all’esplorazione del mondo circostante per poi far ritorno a quella stessa base sicura, una volta “sazio” di scoperte.
Quanti stili di attaccamento conosciamo?
John Bowlby ne individuò tre ma, poco più tardi Main e Salomon ne aggiunsero un quarto
- Stile Sicuro:il bambino si fida e si affida al supporto della figura di attaccamento, sia in condizioni normali che in condizioni di pericolo. Il bambino si sente libero di poter esplorare il mondo.
Gli studi hanno dimostrato che questo stile è compatibile con un caregiver sensibile ai segnali del bambino, disponibile e pronto a concedergli protezione e cura nel momento in cui il bambino segnala la presenza di un bisogno.
In questo stile di attaccamento è possibile osservare sicurezza nell’esplorazione, convinzione di essere amabile, capacità di sopportare lunghi distacchi, nessun timore di abbandono, fiducia nelle proprie capacità e in quelle degli altri.
- Stile Insicuro Evitante: Il bambino manifesta la convinzione di ricevere un comportamento di rifiuto in risposta ad una sua richiesta di aiuto.
Apparirà perciò sfiduciato nei confronti del caregiver imparando a fare affidamento solo su se stesso, con la possibilità di arrivare a costruire un falso Sé.
Questo stile di attaccamento sembrerebbe compatibile con figure di attaccamento respingenti alla richiesta di conforto e protezione.
Nei bambini che presentano questo stile di attaccamento è possibile osservare insicurezza nell’esplorazione del mondo, convinzione di non essere amati, percezione del distacco come “prevedibile”, tendenza all’evitamento della relazione come strategia difensiva per evitare il rifiuto.
- Stile Insicuro Ansioso Ambivalente: il bambino percepisce la figura di attaccamento disponibile a tratti.
A causa di questa imprevedibilità, l’esplorazione del mondo è esitante e ansiosa con conseguente percezione di forti angosce in seguito a separazioni.
Questo stile sembrerebbe compatibile con figure di attaccamento poco prevedibili.
Nei bambini che presentano questo stile è possibile osservare insicurezza nell’esplorazione del mondo unita alla convinzione di non essere amabili.
E’ inoltre presente una forte angoscia abbandonica che rende difficoltosi i distacchi prolungati.
L’ultimo stile di attaccamento aggiunto poco più tardi è quello Disorganizzato.
In questi casi i bambini manifestano dei comportamenti ambivalenti nei momenti di ricongiungimento con il caregiver ( il bambino va verso ma con pianto, urla, evitamento del contatto, paura)
Sembra che tale stile sia compatibile con figure di attaccamento accudenti e spaventanti allo stesso tempo.
Concludendo possiamo affermare che l’attaccamento è qualcosa con cui l’essere umano ha a che fare sin dai primordi ma, secondo John Bowlby è qualcosa con cui in realtà avrà a che fare per tutta la vita dal momento che ogni essere umano ha la tendenza innata a continuare a verificare per tutta la vita appunto la disponibilità delle figure di attaccamento ( es. partner, amicizie) .